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	La politica culturale del regime fascista, fu 
	relativamente tollerante e lungimirante (a differenza, per esempio, del 
	nazismo, che del mondo intellettuale fece terra bruciata). Le ragioni di 
	questa politica si possono oggi individuare con sufficiente chiarezza: in 
	primo luogo, Mussolini era ben consapevole del livello d’arretratezza 
	culturale in cui versava la maggioranza del popolo italiano, ed era quindi 
	cosciente della scarsa risonanza che avevano, a livello di massa, critiche e 
	polemiche espresse su riviste che andavano in mano a poche migliaia di 
	persone. Infatti, il quotidiano “Solaria”, per esempio, non superò mai le 
	tremila copie. Era dunque nell’interesse del potere permettere, entro certi 
	limiti, forme di dissenso che da un lato davano l’illusione della libertà, 
	mentre dall’altro risultavano sostanzialmente innocue. È chiaro d’altronde 
	che, quando certi limiti venivano superati, allora (si vedano i casi di 
	Godetti e dei fratelli Rosselli) la repressione scattava dura e puntuale. 
	Tuttavia, finché rispettavano le regole, agli intellettuali veniva 
	riconosciuta una certa autonomia: è così, per esempio, che a Benedetto 
	Croce, redattore e firmatario del Manifesto degli intellettuali 
	antifascisti, fu consentito di pubblicare durante tutto il ventennio la sua 
	rivista “La critica”. Così come a Croce anche ad altri giovani scrittori 
	notoriamente critici verso il regime, come Vasco Pratolini, Romano Bilenchi, 
	Alfonso Gatto, Elio Vittorini, fu permesso di scrivere sulle principali 
	riviste di cultura, (notevole è l’esperienza di “Primato”, la rivista 
	diretta dal gerarca Giuseppe Bottai, che apri le sue pagine ai più 
	combattivi esponenti del dissenso). 
	Nonostante questo il 1° gennaio 1926 entrò in vigore la nuova legge sulla 
	stampa: da quel giorno poterono essere pubblicati solo giornali che avevano 
	un responsabile, riconosciuto dalle autorità dello Stato, al loro interno ed 
	era il direttore che rispondeva penalmente per quanto stampato sul giornale. 
	Tutti i giornali che non sottostanno a questa legge furono quindi 
	considerati illegali. L'effetto si fece sentire subito, infatti, il giorno 
	seguente alla promulgazione della legge non uscirono sul territorio 
	nazionale 58 giornali, 149 periodici, e migliaia e migliaia di opuscoli, 
	manifesti, libri e altro.  
	Mussolini, rilasciando un'intervista al Daily mail di Londra, 
	parlando della "Libertà di Stampa" precisò: 
	"Ho limitato la libertà di stampa perché gli allarmanti articoli di certi 
	giornali screditavano l'Italia all'estero e provocavano conflitti nello 
	stesso Paese, che non é affatto né sull'orlo della rivoluzione né della 
	guerra civile. In Italia tutto é calmo ed esiste un governo intenzionato a 
	porre fine a degli abusi di certi sbandati.....Quando la stampa, che 
	esercita un così enorme potere, eccede nei suoi privilegi e mostra di non 
	rendersi conto della sua tremenda responsabilità, il governo deve porre fine 
	a un abuso del genere...”  
	"ORA LA STAMPA E' LIBERA!" 
	Ribadì Mussolini qualche anno dopo aver censurato gran parte dei giornali:
	"Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa e un 
	Regime; è libero perché, nell'ambito delle leggi del Regime, può esercitare, 
	e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione". (da 
	"Il giornalismo come missione"). 
	
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