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     Arditi e Futuristi, 
	due anticipazioni del Fascismo 
	 
    
	
		
			
			
			 
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				Benito 
				Mussolini nasce il 29 luglio del 1883 a Dovia di Predappio, in 
				provincia di Forlì, da un fabbro di sentimenti anarchici, 
				Alessandro, e da una maestra elementare devota al cattolicesimo, 
				Rosa Maltoni. Per volontà materna fu battezzato, però con i nomi 
				(Benito Amilcare Andrea) scelti dal padre in onore dei 
				rivoluzionari Juarez (presidente e difensore della Repubblica 
				del Messico), Cipriani (garibaldino e difensore della Comune di 
				Parigi) e Costa (leader del socialismo italiano). Muore fucilato 
				il 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, provincia di Como. | 
		 
	 
	
	
	  
	
		La parola “fascismo” 
	deriva dal fascio di verghe che erano portate nell’antica Roma da appositi 
	addetti chiamati “littori”, (da qui la denominazione "fascio littorio"). 
	I fascis littorii erano le guardie del corpo personali del magistrato e 
	rappresentavano il potere che avevano di uccidere il re. Tra le verghe del 
	Fascio, o lateralmente, vi era inserita una scure, che però in età 
	repubblicana veniva tolta quando si era all’interno della città. Dopo la 
	disfatta di Caporetto, il termine Fascio cominciò ad essere legato alla 
	necessità di un'unione nazionale al di sopra degli interessi dei partiti. 
	Come tale, ma accompagnato da rivendicazioni rivoluzionarie, l’emblema 
	romano venne accolto da Benito Mussolini, divenendo il simbolo dei Fasci di 
	Combattimento e in seguito del Partito Nazionale Fascista, per simboleggiare 
	l’unione del popolo italiano e per volersi ispirare alla potenza e alla 
	grandezza del popolo romano. 
		 
		Per i giovani la Prima Guerra Mondiale era stata un’avventura, 
	un’esperienza vissuta con l’esaltazione dell’eroismo e del coraggio, ma il 
	disastro morale sopraggiunse quando si scoprì che era una guerra nuova, 
	lunga, di logoramento. Così si accusò il Parlamento e i partiti di disfare 
	con vuote polemiche quello che i combattenti conquistavano col sangue. 
	Queste accuse, anche se prive di fondamento, prepararono il terreno per i 
	futuri semi dei movimenti combattentistici; vale a dire: arditismo, 
	futurismo politico, fiumanesimo, fascismo. I movimenti combattentistici 
	fecero della partecipazione alla guerra l’origine, legittima, del loro 
	diritto al potere e alla guida del paese rinnovato. Dovevano, infatti, 
	salvare la patria dal nemico interno, come l’avevano salvata da quello 
	esterno, e rinnovarla, attraverso vari propositi: purificazione morale, 
	lotta all’analfabetismo, giustizia per tutti, riconoscimento dei diritti 
	delle donne, istituzione del divorzio, riforma del costume. Il movimento non 
	presentò solo quest’aspetto, in alcuni nuclei di minoranza, dai quali sorse 
	la prima classe dirigente fascista, fu la premessa di un'ideologia 
	sovversiva, che voleva la distruzione degli istituti liberali e 
	l’esaltazione del ruolo avuto dalle aristocrazie guerriere, in particolare 
	gli arditi. Questi ultimi, che rifiutavano di riprendere un posto nel 
	“sistema” una volta finita la guerra, furono guardati con sospetto o 
	corteggiati, soprattutto dai partiti estremi, che tentarono di accaparrare 
	per sé quel capitale d’energie e d’individui pronti a tutto, privi di 
	scrupolo ed efficaci combattenti. Durante la guerra gli arditi avevano 
	goduto, in compenso del rischio, particolari privilegi, senza dover subire 
	la logorante vita di trincea. Essi quindi avevano vissuto la guerra soltanto 
	come spettacolo del loro eroismo individuale, esibito sempre ai limiti della 
	morte. N’era derivato un gusto per il temerario, una familiarità con la 
	morte stessa, che diventava quasi un desiderio d’apparire tanto coraggiosi e 
	superiori alla massa comune, da amare la morte e da assumerla a simbolo del 
	loro valore. Gli arditi erano convinti di aver acquisito valori e qualità 
	che li rendevano superiori alle masse. Sorsero così formazioni d’arditismo, 
	corpi scelti destinati alle azioni più pericolose, con simboli che 
	rispecchiavano il loro carattere e la loro esaltata psicologia; simboli 
	“strani”  
		in cui tornava sempre il colore, l’immagine, l’idea della morte 
	(stendardi neri, teschi col pugnale fra i denti). Gli arditi furono 
	certamente fra i primi a distinguere il combattentismo fra partecipazione 
	attiva, aristocratica e partecipazione di massa, passiva e incosciente. 
	L’istintiva neutralità delle masse era un fatto indiscutibile, comune sia 
	alla borghesia sia al proletariato, ma dovuto più ad un naturale sentimento 
	di evitare il peggio, che ad una convinta adesione a teorie pacifiste. 
	L’aspetto più interessante della loro “ideologia”, fu l’esaltazione della 
	giovinezza e dell’azione, 
		ideologia efficace nell’attrarre i giovani, specialmente quelli che non 
	avevano fatto la guerra. Al contatto con futuristi e fascisti, gli arditi 
	aspirarono a formulare la loro dottrina sulla base dell’esperienza della 
	guerra, dando vita a una contestazione verso la società borghese, rivolta 
	soprattutto verso la sua mentalità, piuttosto che verso i suoi fondamenti. 
	Sul piano politico chiedevano l’annessione delle terre italiane e delle 
	terre necessarie alla grandezza della nazione, la riforma elettorale, la 
	Costituente, la rappresentanza dei combattenti, la revisione dei contratti 
	di guerra, l’incriminazione dei profittatori e infine, l’espropriazione dei 
	capitali e nuove leggi sul lavoro. 
		Attivismo, nazionalismo (esaltazione dello stato nazionale, considerato 
	come ente indispensabile per la realizzazione delle aspirazioni sociali, 
	economiche e culturali di un popolo) e giovinezza sono caratteri dell’arditismo 
	che il fascismo fece suoi. Gli arditi fornirono alla forza nascente del 
	fascismo quadri attivi, armati, esperti nelle azioni rapide, pronti alla 
	violenza e allo scontro fisico, poco o per nulla rispettosi delle idee 
	altrui. Inoltre l’arditismo fu il metodo di lotta del fascismo, che ne prese 
	anche i simboli e lo stile (la camicia nera). 
		All’interno dell’estremismo combattentista, l’unico gruppo che avesse 
	un’ideologia, a cui attinsero arditi e fascisti, era quello futurista. 
	Nato come movimento artistico nel 1909, il futurismo fu la prima avanguardia 
	del Novecento che, per la sua polemica contro le radici dell’arte (no scuola 
	classica, no città monumentali) e della cultura tradizionale, investiva 
	tutto il mondo di valori, di abitudini, di istituzioni legato a quello della 
	cultura stessa (Filippo Tommaso Martinetti). Al centro dell’ideologia 
	futurista vi era la concezione della vita come movimento verso il futuro 
	e la libertà assoluta dell’individuo come il valore fondamentale; perciò 
	questa ideologia non ammetteva né leggi, né religione, né tradizioni. Per il 
	futurismo parlare di solidarietà e di uguaglianza, in senso assoluto, era in 
	linguaggio passatista. La lotta quotidiana, l’aggressività dei forti verso i 
	deboli, erano considerate norme valide sia per gli individui e sia per i 
	popoli, perché erano necessarie per eliminare gli elementi decadenti, deboli 
	e corrotti. Da queste premesse di 
		 
		
	darwinismo sociale, i futuristi negarono la solidarietà fra gli 
	esseri umani e fra i popoli, ed esaltarono le virtù della giovinezza, il 
	coraggio, l’amore del rischio e dell’avventura, che servivano appunto per 
	selezionare gli uomini nuovi dalla massa dei vecchi inerti. Anche la 
	violenza era accettata, essendo vista come manifestazione dell’esuberanza e 
	dell’insofferenza dei giovani per la politica delle parole e dei 
	compromessi. I futuristi quindi accolsero con viva approvazione la decisione 
	di Mussolini di fondare i Fasci di combattimento e ne furono i primi 
	animatori ed organizzatori. La data di nascita ufficiale del Fascismo viene 
	comunemente fatta coincidere con questa fondazione (23 marzo 1919). 
	Mussolini però intendeva dar vita ad un movimento più che ad un partito, 
	quest’ultimo, infatti, fu creato soltanto il 7 novembre 1921. Il tentativo 
	di teorizzare il fascismo fu affrontato nel giugno del 1932, con la 
	pubblicazione del XIV volume dell’Enciclopedia Italiana contenente la 
	voce Fascismo a firma di Benito Mussolini. Il saggio si divideva in 
	due parti ben distinte: le Idee fondamentali e la Dottrina 
	politica e sociale; la prima, a carattere teorico e dottrinale, fu 
	scritta, in realtà, da Giovanni Gentile (1875 – 1944), la seconda, più 
	“politica” in senso stretto, da Mussolini. I punti che il filosofo sviluppò 
	nel suo scritto sono: la coincidenza di prassi e pensiero, la polemica 
	antiliberale e la differenziazione dai nazionalisti. Nel binomio pensiero 
	e azione il filosofo siciliano vedeva, infatti, la più netta e decisa 
	presa di posizione contro la tradizione italiana, di origine appunto 
	rinascimentale, che mirava a separare l’uomo di pensiero dai problemi della 
	società, cioè della politica. Nel suo testo Gentile analizza “che cos’è” il 
	fascismo e a quali concezioni politiche esso si oppone. Il fascismo è 
	prassi, in quanto è inserito in uno specifico momento storico, ma è 
	anche pensiero poiché contiene in sé un ideale che lo eleva a formula 
	di verità. E’ una concezione spiritualistica, ma non è scettica, né 
	agnostica, né pessimistica, né passivamente ottimistica, come lo sono, in 
	generale, le dottrine che pongono il centro della vita fuori dell’uomo. Il 
	fascismo vuole un individuo attivo, che concepisca la vita come lotta e che 
	capisca che solo lui può conquistarsi l’esistenza che vuole. Per questo 
	viene data grandissima importanza alla cultura in tutte le sue forme (arte, 
	religione, scienza) e all’educazione. 
	Esso è anche una concezione religiosa, in cui l’uomo è visto in 
	rapporto con una Volontà superiore e obiettiva che lo eleva a membro 
	consapevole di una società spirituale. Inoltre è una concezione storica, 
	nella quale l’uomo “esiste” solo in rapporto con la società, la famiglia, la 
	nazione e la storia. Per questo motivo viene dato gran peso alle tradizioni, 
	ai costumi, alle memorie e alle norme del vivere civile, contrariamente a 
	quanto professava il futurismo politico. Ha una concezione 
	antiindividualistica dello Stato, ed è quindi contro il socialismo 
	poiché non esistono né individui, né partiti fuori dello Stato. Al tempo 
	stesso però il fascismo è contro la democrazia, che “ragguaglia il popolo al 
	maggior numero abbassandolo al livello dei più” (segue il darwinismo sociale 
	dei futuristi). Per Gentile, e quindi per Mussolini, non è la nazione a 
	generare lo Stato, ma il contrario, perché esso dà al popolo, consapevole 
	della propria unità morale, una volontà e un’effettiva esistenza. Lo Stato 
	disciplina tutti gli individui, ispirando con i suoi principi le personalità 
	di ognuno; per questo il fascismo è educatore e promotore di una vita 
	spirituale, volendo rifare l’uomo stesso, il suo carattere e la sua fede. La 
	sua insegna è perciò il fascio littorio, simbolo dell’unità, della 
	forza e della giustizia.  |